I disturbi alimentari sono rappresentati da un rapporto con il cibo e il corpo disfunzionale e alterato. Sebbene abbiano un esordio prevalentemente nell’età dello sviluppo e nei soggetti di sesso femminile, queste patologie stanno emergendo anche in età più precoci e negli individui di sesso maschile.
Mi preme porre l’attenzione su quella che è solamente la punta dell’iceberg: molto disturbi, infatti, passano inosservati per anni a causa dei sintomi poco marcati e non chiari., oppure perché vengono mascherati dalla presenza di altre patologie. Ma è ormai noto che una diagnosi precoce favorisce la guarigione e riduce i rischi che possono essere correlati e conseguenti a questi disturbi.
Classificazione dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
Secondo l’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) a cura dell’American Psychiatric Association “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.
Ritengo utile una breve panoramica sulla classificazione e descrizione dei Disturbi del Comportamento Alimentare, proprio a titolo informativo. All’interno del DSM-5 si trovano nel capitolo “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” e sono i seguenti:
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Pica:
E’ un disturbo alimentare la cui caratteristica principale consiste nell’ingestione di una o più sostanze non nutritive e non alimentari per un periodo di almeno un mese. Normalmente non si manifesta con un’avversione nei confronti del cibo in generale, ed è più tipico dell’età infantile.
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Mericismo o disturbo da ruminazione
Anch’esso più tipico dell’infanzia, prevede il rigurgito di cibo, che può essere rimasticato, deglutito nuovamente o sputato, per almeno 1 mese; il rigurgito non è da attribuire a condizioni patologiche quali problematiche gastrointestinali o altre condizioni mediche.
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Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID)
Un altro disturbo nutrizionale prevalente nell’età evolutiva, ma come gli altri, può essere riscontrato anche negli adulti. Riguarda l’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo per apparente mancanza d’interesse per il mangiare o il cibo, o per le caratteristiche sensoriali del cibo o per le preoccupazioni per le conseguenze negative del cibo.
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Anoressia nervosa
Consiste in una restrizione dell’assunzione di calorie, che porta a un peso corporeo significativamente basso, inferiore al minimo normale, nel contesto di età, sesso, sviluppo e salute fisica. E’ caratterizzata da un’intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure dal persistere di un comportamento che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso. E’ presente un’alterazione del modo in cui vengono vissuti il peso e/o la forma corporea. Può manifestarsi con restrizioni (dieta, digiuno e/o attività fisica eccessiva) oppure con abbuffate e condotte di eliminazione (abbuffate e vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).
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Bulimia nervosa
E’ caratterizzata da episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un episodio di abbuffata compulsiva consiste nel mangiare, in un breve periodo di tempo, una quantità di maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso arco di tempo, nella perdita di controllo sul mangiare durante l’episodio. Possono presentarsi anche condotte di eliminazione per prevenire aumenti di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, o altri farmaci, digiuni o esercizio fisico eccessivo. Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
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Disturbo da alimentazione incontrollata binge-eating (BED)
Anch’esso è caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate compulsive, con perdita di controllo durante l’episodio, associati a mangiare molto più rapidamente del normale, o fino a sentirsi spiacevolmente pieni, o grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati, o da soli per l’imbarazzo. Successivamente è accompagnato di disagio, disgusto e senso di colpa. L’abbuffata non è, però, associata alla messa in atto di condotte compensatorie come nella bulimia nervosa.
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Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione
Riguarda i disturbi della nutrizione che non soddisfano in pieno i criteri per i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sopracitati. Sono classificati in anoressia nervosa atipica, bulimia nervosa (a bassa frequenza e/o di durata limitata), disturbo da binge-eating (a bassa frequenza e/o di durata limitata), disturbo da condotta di eliminazione, sindrome da alimentazione notturna.
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Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione
Questa categoria rappresenta i disturbi con i sintomi caratteristici di un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione e che causano un significativo disagio clinico o un danno nel funzionamento sociale, occupazionale o in altre importanti aree, ma che non soddisfano i criteri pieni per qualsiasi dei disturbi nella classe diagnostica dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
I segnali dei Disturbi del comportamento alimentare (DCA)
In generale, comunque, un disturbo alimentare si contraddistingue per la presenza di segnali che devono essere attenzionati; ne elenco alcuni ma ne esistono molti altri: alterazione dell’umore, stati depressivi, evidenze cambiamento del peso corporeo, alterata assunzione di cibo, sia in difetto che in eccesso, utilizzo di metodi di compensazione (attività fisica eccessiva, lassativi, vomito autoindotto…), dispercezione corporea, modificazioni nella vita sociale e quotidiana (isolamento, scarsa interazione, evitamento dei pasti conviviali…)…
Quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo di un DCA? (Disturbi del comportamento alimentare)
I fattori di rischio che possono favorire lo sviluppo o l’esacerbazione del disturbo sono numerosi e spesso sono concomitanti. Tra i più noti posso citare: disturbi psichiatrici del soggetto e/o disturbi psichiatrici dei genitori (es. depressione, disturbi d’ansia, alcolismo, abuso di sostanze…), caratteristiche particolari sviluppate già dall’infanzia ( bassa autostima, fobie, perfezionismo…), problematiche relazionali in famiglia(separazioni, litigi, aspettative troppo elevate…), eventi distruttivi (lutti, malattie bullismo…), abusi sessuali e/o fisici, stress lavorativi o scolastici… inoltre, un fattore di rischio spesso trascurato è proprio l’inizio di una dieta o ripetuti interventi dietetici, sin dall’infanzia. Vorrei infatti focalizzarmi soprattutto su quest’ultimo aspetto.: la cultura della dieta. Siamo stati abituati fin da piccoli a considerare cibi buoni e cibi cattivi, cibi benefici e cibi nocivi. E soprattutto siamo abituati a vedere magari uno dei nostri familiari ‘a dieta’ o siamo stati ‘messi a dieta’ sin dall’infanzia. Oppure siamo stati bullizzati perché sovrappeso o troppo magri…oppure ancora abbiamo frequentato ambienti che esaltavano l’ideale di magrezza, come per esempio ambienti sportivi o della moda o dello spettacolo… e ancora: abbiamo ricevuto commenti da familiari sulla nostra forma corporea…
L’ambiente in cui viviamo è potenzialmente pericoloso per tutti, ma per chi soffre o è a rischi di DCA, questo è davvero deleterio perché può portare alla slatentizzazione dei disturbi o alla loro esacerbazione.
La cultura della dieta è purtroppo uno dei fattori responsabili di tutto ciò, promuovendo comportamenti e abitudini che associano a un ideale di magrezza un buono stato di salute e demonizzano pesi corporei differenti (promuovendo purtroppo la ‘grassofobia’). Questo genera inadeguatezza, frustrazione, vergogna., sensi di colpa…che incidendo negativamente sulla mente porta a entrare in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Cosa si può fare per gestire e aiutare una persona che soffre di Disturbi Alimentari?
Io prediligo un approccio non prescrittivo, che permette di capire i segnali del corpo, rispettare le sue esigenze e i suoi bisogni. E’ importante ‘distruggere’ tutte le credenze a cui si è stati abituati, per poter costruire nuove esperienze che permettano di vivere il rapporto con il cibo e il corpo serenamente. Passare da una dieta all’altra sperando in un cambiamento miracoloso finisce solamente per alimentare il senso di fallimento. Cosa può aiutare? Metterci in ascolto del nostro corpo per fornirgli il nutrimento di cui ha bisogno senza attribuire valori morali al cibo (cibi si o no, cibi sani o no). Capisco bene che sembra molto difficile, e che questo approccio possa spaventare, ma bisogna avere fiducia nel proprio corpo e ascoltare i messaggi che ci fornisce.
L’approccio non prescrittivo consiste nel non fornire diete o schemi rigidi, piani alimentari che obblighino la persona a seguire regole e divieti, perché fanno parte di un controllo sul nostro corpo e sulle nostre esigenze. Consiste, invece, nel riconoscimento dei bisogni di ogni persona, cercando di soddisfarli non sono in termini energetici ma anche di piacere, attraverso un’educazione alimentare positiva. Importante è anche distruggere le errate convinzioni legate alla dieta guidando la persona verso un rapporto più consapevole con il cibo e il proprio corpo/peso. L’approccio non prescrittivo permette, dunque, alla persona di reimparare a conoscere se stesso, i propri gusti, ricostruendo il proprio benessere interiore ed esteriore senza usare come strumento l’imposizione di un severo piano alimentare.
Uno dei punti cardine di questo approccio è l’utilizzo del Mindful Eating: la Mindfulness applicata all’alimentazione, una disciplina che permette di vivere il presente, nel “qui e ora” e raggiungere la consapevolezza di sè e delle proprie necessità, liberandosi dalla cultura della dieta e imparando a vivere il cibo e il corpo attribuendogli altri valori che non sono giudizi.
In ultimo, ma non per importanza, mi impegno a creare una ‘rete’ di professionisti attorno alla persona, per sostenerla e per accompagnarla nel percorso di cambiamento. Normalmente fanno parte della ‘rete’ psicologi psicoterapeuti, psichiatri, medici di base e la famiglia stessa, tutte figure che aiutano, comprendono, sostengono e accompagnano la persona durante il percorso e sono indispensabili per il buon esito dell’intervento.